Marco Useli, Giaime Meloni, Elena Muresu

LE MONTAGNE INCANTATE

ARTE

La abitarono Karl Gustav Jung e Hans Arp passando per Hugo Ball, Paul Klee e Harald Szeemann. A Monte Verità tre artisti sardi in residenza, per una nuova mostra al MAN che è un vocabolario di espressioni

Prendi tre artisti. Tre artisti sardi - Giaime Meloni, Elena Muresu e Marco Useli - e li porti in Svizzera, sul Monte Verità. Poi tre artisti svizzeri - Tonatiuh Ambrosetti, Maya Hottarek e Lisa Lurati - e li fai arrivare in Sardegna, in Barbagia. Poi dai loro carta bianca, per dare stura alle loro derive, alle loro invenzioni. Per dare vita a sei progetti espositivi.

Sei progetti voluti dal MAN e Fondazione Monte Verità di Ascona, che in questi giorni troviamo in mostra, curati da Chiara Gatti e Nicoletta Mongini, presso le sale del museo MAN di Nuoro. A guidare gli artisti durante il loro percorso creativo quattro visiting professors: Una Szeemann, Alessandro Biggio, Tobia Bezzola e Andrea Dall’Asta.
I tre artisti svizzeri: Maya Hottarek, Tonatiuh Ambrosetti, Lisa Lurati Gli artisti svizzeri: Maya Hottarek, Tonatiuh Ambrosetti, Lisa Lurati Monte Verità e Barbagia: realtà che apparentemente paiono non conciliarsi, ma allo stesso tempo cariche di fascino e misteri. Che mostra è questa del MAN?
Racconta Chiara Gatti: «Si tratta di un progetto che ha permesso a tre giovani artisti sardi, che riflettono sui temi e i linguaggi del contemporaneo, di abitare questo monte. Allo stesso tempo tre artisti svizzeri sono stati qui da noi. Il gemellaggio manifesta anche la bellezza di vedere questi ragazzi che hanno abitato luoghi in una sorta di dialogo fluido, di vasi comunicanti, fra un’isola del Monte Verità e l’isola Sardegna, che è anche una montagna. Così è diventata una grande narrazione di cui oggi restituiamo la storia attraverso questa mostra, tra il primo e il secondo piano del museo. Una mostra in cui si mescolano suggestioni ancestrali, primitive, magnetiche, e mistiche. In un dialogo a sei meraviglioso. Un’interpretazione poetica di questi luoghi che si toccano».

Nicoletta Mongini, responsabile culturale della Fondazione Monte Verità, aggiunge: «È stato un progetto bellissimo. Questa per noi rappresenta la prima esperienza artistica organizzata con un altro museo. Un’esperienza molto intensa e proficua in cui ho visto l’accostarsi a Monte Verità, non attraverso l’aspetto mitico di questo luogo, ma in modo diverso. Di solito quando ci si avvicina a Monte Verità, infatti, si tende ad accostarlo ai personaggi oggi molto famosi e popolari che lo hanno abitato. Invece gli artisti, questi artisti, si sono avvicinati alla natura primigenia di Monte Verità. Hanno parlato col luogo, partendo da loro stessi. Trovo che questa sia stata la risposta migliore e anche la più interessante».
Marco Useli, Elena Muresu, Giaime Meloni, Maya Hottarek, Tonatiuh Ambrosetti,Alessandro Moni, Chiara Gatti, Nicoletta Mongini, Luca Spano, Lisa Lurati In piedi da sinistra: Marco Useli, Elena Muresu, Giaime Meloni, Maya Hottarek, Tonatiuh Ambrosetti. In basso da sinistra: Alessandro Moni, Chiara Gatti, Nicoletta Mongini, Luca Spano, Una la cagnolina di Lisa, Lisa Lurati Marco Useli, quanto Monte Verità, quanto la sua storia maliarda, ricca di personaggi leggendari che la hanno abitata, è riuscita a incidere sul tuo cammino creativo?
«In soli venti giorni di residenza - racconta l’artista dorgalese - sono riuscito a sviluppare il progetto che avevo in mente anche grazie alla forza del luogo che mi ha caricato di energie positive. Dopo aver studiato la storia del posto, ho individuato e approfondito la mia indagine su uno dei tanti personaggi che hanno lasciato la loro impronta culturale sul Monte Verità. Si tratta di Rudolf Laban, il massimo teorico della danza artistica. Era riuscito a sviluppare delle azioni perforative all’interno di un icosaedro regolare a dimensione umana. Questo mi ha dato modo di proseguire il lavoro sui solidi platonici e “l’incisione en plan air“ già utilizzata in un progetto precedente a questo. Le venti facce triangolari che compongono il poliedro sono diventate le matrici da cui ho potuto catturare altrettanti riflessi del Monte, sotto forma di segni».

Come si è trasformata questa esperienza nella trasposizione pittorica che poi hai portato al MAN?
«Il lavoro consta di venti stampe su carta di cotone nera sulle quali è chiara una eterogeneità di tecniche incisorie; dall’acquaforte alla maniera nera, fino alla puntasecca. La caratteristica principale è data dal divenire della luce, che dalla superficie nera si accende attraverso e grazie ai segni e all’inchiostro argenteo, preparato per l’occasione. Un viaggio, appunto, che va dal buio dell’incoscienza alla luce del sapere».

Giaime Meloni, che occasione è stata per te?
«Per me ogni residenza d'artista è l'occasione per poter condurre una riflessione su come abitiamo i luoghi. A Monte Verità mi sono interessato all'eremo, inteso come desiderio di allontanarsi dalla vita sociale per trovare la dimensione della meditazione e della creazione. Il tempo della residenza è stato per me un'esperienza di piacevole introspezione sulla relazione con il paesaggio intorno».

«Fin dall'inizio mi sono chiesto cosa rendesse questo luogo così magico. Cosa avesse permesso a Monte Verità di diventare un fulcro per una parte della storia artistica e letteraria degli ultimi due secoli. Ho trovato la risposta osservando le cose più semplici davanti a me: il paesaggio in due declinazioni materiche. Da un lato i ruscelli e l'acqua, che fosse la pioggia o il lago Maggiore. Dall'altro la montagna e la foresta, che evocano l'immaginario di un luogo incantato. Questi elementi compongono la restituzione visiva, ricca di rimandi visivi, ad alcuni momenti storici di Monte Verità. Come per esempio la palma, che rappresenta la relazione dei pionieri di questo luogo con il loro successivo spostamento in Brasile. Oppure la scatola di fiammiferi "Vogliamoci sempre bene" che vuole citare questa idea di comunità utopica basata sull'amore reciproco. Allo stesso tempo parla dell'attualità del Monte Verità come di un Hotel, in quanto le scatole di fiammiferi sono uno dei gadget che ancora oggi puoi trovare in certi alberghi».

Elena Muresu, c’è chi come Marco è voluto partire da un’indagine su Rudolf Laban. Chi invece, come Giaime, ha sviluppato il percorso a partire dal concetto di eremo. La tua, che esperienza è stata?
«L’esperienza svizzera è stata un momento di crescita importantissimo per me, sia per il contatto con gli altri artisti ticinesi, sia per la possibilità che mi è stata data di sviluppare in maniera più approfondita alcuni aspetti della mia ricerca artistica. Il Monte Verità è stata una vera e propria culla per il progetto esposto al Man di Nuoro, grazie anche al fatto che attraverso la residenza sono stata circondata da arte, design, musica, spazi culturali, danza, storia, politica e miti. Per non parlare dalla Natura del Monte Monescia e delle Cento Valli, che è diventata lo scenario nel quale il mio lavoro si è sviluppato».

Raccontaci, quindi, di questo lavoro, di questa invenzione.
«Il termine è azzeccato: invenzione. Il mio lavoro in mostra è stato prelevato da un archivio molto più ampio che ho intitolato Archivio Monte Verità, composto da videointerviste, registrazioni ambientali, fotografie digitali e analogiche, un video d’artista, disegni, scritti e frottage. È il risultato di una storia inventata appositamente per questo luogo e per questa operazione con il museo Man e la Fondazione Monte Verità: La Vera Storia Finta di Monte Verità, anche siglata LVSFDMV».

Di che storia si tratta?
«Si tratta della storia di tre giovani esploratori che improvvisamente una notte sognano la distruzione dell'umanità, e decidono di incontrarsi per trovare una soluzione o quantomeno delle informazioni in merito. Decidono così di intraprendere un viaggio verso il luogo che hanno visto nel sogno: Monte Verità, in Svizzera. Ognuno di loro ha delle caratteristiche e delle conoscenze tecniche che diventano fondamentali per intraprendere un viaggio: le doti di orientamento e di disegno tecnico del cartografo Marco, la scrupolosità del meteorologo Giaime e la capacità di guida spirituale della medium Elena. I tre scoprono che sul Monte Verità, cento anni prima, un terribile mago aveva deciso di distruggere l'umanità perchè aveva scoperto che nel futuro il mondo sarebbe stato dilaniato da avidità, egoismo, prevaricazione dei più deboli, inquinamento, guerre e morte, e che i monteveritani si erano sacrificati per salvare la terra. Durante l'esplorazione e il loro soggiorno nell'albergo di Monte Verità, a 100 anni esatti dalla notte del grande sacrificio (che corrisponde con l'inizio della nostra residenza), i giovani si ritrovano a vivere diverse disavventure che li portano così a dubitare gli uni degli altri, e ad allontanarsi dalla medium, isolata e considerata folle, rinunciando così alla ricerca della vera verità. La medium, rimasta sola sul monte, inizia ad avere paura e prepara i suoi bagagli per fuggire da quel luogo, ma proprio in quel momento incontra il personale della struttura ricettiva. Grazie alla loro gentilezza la medium si rende conto che i monteveritani in realtà non sono mai andati via, ma semplicemente col tempo hanno iniziato ad assumere un ruolo più marginale nella storia di Monte Verità, prendendosi cura degli alberi e della struttura ricettiva, per permettere a tutti noi, protagonisti di storie di passaggio, di inventare su quel luogo ognuno la propria vera verità».

Come lo hai strutturato all’interno delle sale del MAN di Nuoro?
«Questo lavoro è strutturato su diversi livelli. Nella sala compaiono due frottage che ragionano sulla funzione dell'attuale fotografia digitale, impossibilitata oramai a percepire le profondità e vincolata invece a riportare le ombre degli oggetti e le profondità come elementi cromatici su un piano bidimensionale. Questo è un invito a guardare le cose non con una scansione superficiale del mondo ma scendendo un po' più in profondità, negli spazi vuoti, perché è lì che si annida la Luce. Nella teca, invece, si trova il mio reportage della residenza realizzato interamente con istantanee Fuji Wide 300. Le fotografie sono le tessere della storia che ho scritto, che giocano un doppio ruolo: da una parte rappresentano i tarocchi della medium, che vengono girati come quando viene letto un destino, riflettono così sulla struttura stessa della narrazione e degli elementi costitutivi di una storia, come il cammino dell'eroe e gli archetipi della ricerca della verità (il monte, la caverna, la selva, il bosco, la luce). Dall'altra riflettono sulla temporalità del nostro passaggio sulla terra e hanno, come tutti gli oggetti esoterici, un profondissimo legame evocativo con la morte. Infine, appesa alla parete si trova una fotografia digitale Color Fine Art, incorniciata come una reliquia, con vetro museale. Il suo titolo è "Il trucco del Mago", ed è il ritratto del cuoco di monte verità, Ivo Kolev, che sul braccio ha tatuato il logo disegnato da Hans Jean Arp nei primi del '900 per Monte Verità con la scritta "Chef dei Balabiot", per l'appunto i monteveritani. È l'ultima "carta" che gioco per risolvere la storia/enigma e la ricerca dei viaggiatori, mostrando a tutti quello che la medium, che poi sarei io, ha scoperto alla fine della storia. All’inaugurazione della mostra del 6 ottobre ho realizzato una performance raccontando la storia, che è stata ripetuta numerosissime volte sino alla chiusura del museo. Ho perciò lasciato il testo con LVSFDMV scritta come foglio di sala. Questo elemento del mio lavoro riflette sul teatro, e sul rapporto tra finzione e realtà, dimensione eterea e rapporto con lo spazio circostante. Gioca proprio con la parola verità, tanto ricercata, che è sempre lì per emergere, ma che non riusciamo mai ad afferrare completamente. Una verità che alla fine, in realtà, abbiamo sempre avuto sotto il naso mentre noi abbiamo guardato altrove».

Che messaggio vuoi lanciare al pubblico, a chi visiterà o a ha già visitato la mostra?
«Il mio lavoro vuole avere anche una morale, mettendo al centro il personale che garantisce la cura del monte e della struttura, a volte disdegnato da chi visita il Monte: è un invito per tutti a fare un passo indietro, e a provare gratitudine nei confronti di chi, con la propria attività, rende possibile ancora oggi frequentare la montagna e godere della sua preziosa storia e natura. Senza la generosità che ho ricevuto dalle persone che ho incontrato, niente del mio lavoro sarebbe stato possibile, e questo è il mio modo di dire loro grazie».


IN MOSTRA

Dal 24/10/2023 al 12/11/2023

DOVE

MUSEO MAN - Via Sebastiano Satta 27, Nuoro

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