Guido Guidi

GUIDO GUIDI

“Non si inventa nulla. Essere originali vuol dire guardare il passato”

MOSTRE

Dal 1974 al 2011. Un racconto antropologico e paesaggistico di una Sardegna dimenticata. Al MAN di Nuoro la prima importante retrospettiva di uno dei più grandi protagonisti della fotografia italiana del secondo dopoguerra

«Arrivo a Venezia, da Ravenna dove avevo fatto il liceo, perché volevo fare l’architetto, tradendo la mia naturale vocazione che era la pittura. Ma mia madre guardandomi preoccupata mi chiedeva: “Sì, d’accordo il pittore, ma poi come fai a mangiare?”. A Venezia ho frequentato molto la pittura veneta: quei colori, quegli edifici ammalorati hanno influenzato decisamente il mio stile e la mia ricerca in fotografia. Fotografo quello che vedo. Non credo che con il mio lavoro abbia aggiunto qualcosa. Mi rifaccio alla fotografia antica, quella dei miei genitori, quella dei miei nonni, dei miei bisnonni. Non si inventa nulla. Credo che l’originalità consista proprio in questo, nel guardare il passato».

Così Guido Guidi, classe - e non solo anagrafica - 1941, ci racconta il suo stile, sobrio, pacato e lontano dalla fotografia patinata delle superstar.

luigi fassi Una delle sale del Museo MAN con le fotografie di Guido Guidi Il MAN di Nuoro lo ospita in una retrospettiva, mai vista prima, che è un viaggio che parte dal 1974 per atterrare nel 2011. Nelle sue immagini c’era già una promessa di ritorno. Immagini senza fronzoli, stampate a contatto, raccontano di una Sardegna fatta di normalità e quotidianità universali. Colori pastello e immagini in un bianco e nero privo di bellurie, fatto per quello che è, per come è: al servizio del racconto. Uno scatto a volte pare non bastare mai. Ecco che allora diventano due, tre o quattro a riprendere la stessa scena, ma a distanza di pochi secondi l’una dall’altra. La metodica della ripetizione.

«Esercizi nati dalla serialità che producono risultati per certi versi inaspettati» sottolinea Antonello Frongia, teorico della fotografia, membro della SISF, e ricercatore di Storia dell'arte contemporanea all'Università degli Studi Roma Tre. «Cosa succede, ad esempio, se mentre una persona sale una scala, io premo il pulsante di scatto a intervalli regolari?»

La fotografia per Guidi è anche territorio di ricerca, sperimentazione.
«Nella sua fotografia - prosegue Frongia - in questa sua continua ricerca, ritroviamo una sistematicità, una specie di razionalità, un procedere con ordine, esplorando tecnicamente le variabili fotografiche. Quindi, cosa succede se fotografo un volto con obiettivi di tipo diverso? Fino a che punto la deformazione di un ritratto può rimanere un ritratto e in che modo, invece, può diventare una maschera, un mostro o un’immagine onirica?»

«Nel rapporto con le persone che Guido incontra, ma anche gli abitanti della Sardegna che incontrano questa persona che si aggira nel paese con una macchina fotografica in testa, generando curiosità, sospetto, tentativo di contatto e di dialogo. Facciate come facce, volti. Negli anni ‘70 inizia a fotografare case. In questo processo di osservazione, Guido ci chiede di immedesimarci di entrare in contatto con cose che siamo abituati a vedere tutti i giorni».
guido guidi Marcello Fois e Guido Guidi nell'auditorium dell'ISRE a Nuoro L’incontro con le case e i luoghi che l’uomo abita, la rappresentazione di un mondo vista dall’esterno, da un occhio diverso su cui Marcello Fois mette l'accento: «Il bello di essere quanto ci concerne è anche la nostra meravigliosa attitudine a farci osservare, e dall’altra parte il Mr Hide che è in noi ci fa sempre scontenti della rappresentazione che poi se ne ottiene. Siamo meravigliosamente incapaci di soddisfarci della rappresentazione. Questo ci succede con i pittori, ci succede con gli scrittori… Pensa un po’, ancora non perdoniamo la Deledda. Questa perturbante mostra fotografica di Guidi, ha una grammatica specifica. Spesso lo sguardo altrui ci rivela, non tanto un dato di fatto, quanto che siamo disperatamente malati di “autoturismo” di “autoantropologismo”. Noi dobbiamo smettere di pensare agli artisti come elementi speculari. Non sono persone che ci dimostrano o che ci riflettono come noi vorremmo essere dimostrati e riflessi, altrimenti non sono più artisti, sono compiacenti, sono maggiordomi. Se un artista ti lascia esattamente come sei non valeva la pena di essere incontrato. Il libro che non ti smuove e che ti lascia esattamente come eri, è evidente che non è un grande libro».
guido guidi Un momento del simposio presso l'auditorium dell'ISRE a Nuoro Michael Mack è il fondatore della casa editrice londinese Mack Books, specializzata in libri d'artista e in fotografia internazionale, che ha realizzato il catalogo di questa mostra al MAN.

Come è stato lavorare con Guidi?
«La fortuna per chi fa il mio mestiere di editore è quella di essere molto selettivo nei confronti degli artisti con cui lavoro. Guido, a differenza di molto altri fotografi, anche più giovani, ha capito l’importanza del libro quale mezzo fondamentale per la trasmissione del proprio lavoro. Il motivo è che questo mezzo incapsula nella maniera migliore la storia di Guido e la sua relazione le sue connessioni coi paesaggi ma anche con il passaggio del tempo e la serialità di certi scatti. Il vantaggio di lavorare con un artista come Guido deriva dal fatto che lui pensa in forma di libri. E questo facilita la coerenza della produzione e la creazione del prodotto finale».
Irina Zucca Alessandrelli La curatrice della mostra, Irina Zucca Alessandrelli Irina Zucca Alessandrelli ha curato l’intera mostra per il MAN: «È sempre un’emozione vedere una sua opera dal vivo, perché il formato, la grana della fotografia, la scelta del modo in cui è stato incorniciato e la scelta del passe-partout e della cornice che Guido cura in maniera maniacale, secondo me raccontano molto di lui. Ma allo stesso tempo insegnano a guardare alla fotografia, nel modo in cui il fotografo stesso si augura venga vista».

Se, come dice la curatrice, certi dettagli raccontano di lui, prima di andare via chiediamo a Guido Guidi il motivo che lo ha spinto a scegliere un formato di stampa piccolo e la scelta di apporre un vetro tra l’immagine e lo spettatore. «Il formato piccolo, perché la fotografia è nata per un formato piccolo. E quindi perché ingrandirle? Ingrandire è un po’ ostentare e a me non piace ostentare. E poi preferisco la stampa a contatto che non perde di qualità rispetto all’ingrandimento. Perché il vetro? Perché la fotografia ha a che vedere con la finestra e anche con lo specchio, sin da sempre. Nell’800 qualcuno diceva “la fotografia non è altro che uno specchio dotato di memoria” ecco che specchio-finestra hanno a che fare con la fotografia. Proprio per questo stampo le fotografia in carta lucida. La fotografia deve essere riflettente, deve essere specchio, e non disegno».

Guido Guidi In Sardegna: 1974, 2011
21.06 – 20.10.2019
Nuoro - Museo MAN



SCRIVI UN COMMENTO


FORSE POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE