L'EKLEETTICO PAUL

paul klee

LE GRANDI MOSTRE DEL MAN

Rimanere bambini. Non ammazzare il Peter Pan che è in ognuno di noi. Forse è questo il segreto della felicità, il vero antidoto contro la vecchiaia. Il MAN di Nuoro ce lo ricorda, con una bellissima mostra: Paul Klee. Mondi animati.

Klee: artista poliedrico, bambino e cantastorie, nella sua opera la poesia si fa espressione plastica. E sono forme che spaziano dall’espressionismo al surrealismo, dall’astrattismo al figurativo. Per lui: “un’artista deve essere tutto”.

A distanza di un anno dalla mostra di Giacometti, Pietro Bellasi ritorna al MAN di Nuoro per raccontare quello che per molti è l’artista più rappresentativo del ‘900: Paul Klee o “Buzzi” come lo chiamavano i suoi parenti più stretti. Già. Ma chi era Paul Klee?

«Paul Klee è forse uno degli artisti contemporanei del secolo scorso, da un certo punto di vista, più facili ma allo stesso tempo più difficili», ci spiega Pietro Bellasi che, come punto di partenza, sceglie un passaggio del pensiero di Klee tratto da La confessione creatrice del 1920: “L'arte gioca con le cose ultime un gioco inconsapevole e tuttavia le attinge”.

Intorno al 1902 Klee ha 23 anni, ritrova i suoi disegni di infanzia in una soffitta della sua casa: “Vorrei essere come appena nato, ignorare i poeti e le mode, essere quasi primitivo”. Molti dei quadri esposti sembrano proprio dipinti dalle mani di un bambino. L’imperfezione come forma di linguaggio.
paul klee «Klee chiede a tutti di ritornare, in qualche modo, al mondo immaginario dell’infanzia. A cercare nella varietà delle visioni che hanno i bambini un senso della vita. Ma attenzione, non è un immaginario avulso dalla realtà anzi: nell’opera di Klee “il bambino” sta prendendo coscienza della realtà.

Le raffigurazioni sono una diversa dall’altra. C’è chi lo ha definito: “mediatore tra mondi diversi”. Il segno per Klee è una sorta di genesi che si rinnova ad ogni opera, e all’interno di ogni singola opera. Lo stesso artista svizzero sosteneva che: “L’occhio di un osservatore si deve muovere sul dipinto come un animale al pascolo”.
paul klee «Klee ci costringe a mutare il punto di vista», sottolinea Bellasi. «È, in qualche modo, un antidoto alla noia, alla indifferenza. L’indifferenza che credo sia la malattia del nostro secolo. L’indifferenza e la noia qui vengono vinte grazie all’immaginario e al variare continuo dell’immaginazione».

Quando nel 1909 Klee incontrerà per la prima volta l’opera di Cézanne in una mostra a Monaco, di egli scriverà: “Alla secessione ho visto otto quadri di Cèzanne, lui è il mio maestro per eccellenza, molto più di Van Gogh”.

«Klee era un ammiratore di Cézanne. E io ho sempre pensato che questa grande ammirazione per Cézanne fosse anche il fatto che Cézanne è forse uno degli artisti contemporanei che più ha valorizzato il non finito. Molti dei suoi quadri infatti non sono finiti. E allora chiediamoci: quando un’opera è finita? Dove sono i confini di questo? Dove sono in confini dell’immaginario infantile?»
paul klee «Un’altra sorpresa. Se voi guardate la biografia di Klee vi renderete conto che questi sono anni terribili tra la prima e la seconda guerra mondiale. Ma nonostante questo, attraverso la sua opera, attraverso queste figure, ci invita a questa vacanza. Nell’opera di questo grande artista si respira una grande libertà, che si oppone a un pensiero totalitario, e una grande varietà. Questa mostra è davvero un pezzettino di villeggiatura spirituale».

In questa mostra del MAN - curata anche da Guido Magnaguagno, con il coordinamento scientifico di Raffaella Resch - le opere di Klee sono immerse nel buio. Ogni opera è consegnata alla sola luce di uno “spot”che ne illumina la superficie. Come mai questa scelta Professor Bellasi? «Un allestimento di questo tipo è molto diverso da allestimenti in cui evidentemente ci sono delle opere molto grandi davanti alle quali possono esserci numerosi visitatori». Sei magnifiche sezioni: Architetture, Paesaggi, Interni (oggetti animati), Forme biologiche, Forme dell’umano e Mondo Animale.

«In questo caso Klee richiede una visione dell’opera molto intimistica. Richiede un colloquio, vorrei dire, a voce bassa. Qui c’è solo un osservatore che si mette in contatto personale, intimo, con l’opera. È come il bambino che gioca con il suo giocattolo: non vuole giocarci con tanti bambini intorno, ma vuole giocarci da solo. Ed è proprio seguendo questo concetto che abbiamo scelto un allestimento di questo tipo».

Provare a decifrare, tentare di conoscere completamente questo artista è davvero molto difficile. Klee era troppo eclettico, troppo articolato, troppo visionario, troppo tutto. Forse è anche questo il segreto della sua grandezza. E forse la risposta sta in quella frase scritta in quell’ultimo disegno mai portato a termine prima della sua morte: “Bisogna che tutto sia conosciuto? Ah, io non credo”.

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