GARRY WINOGRAND

garry winogrand

LE GRANDI MOSTRE DEL MAN

«Sorridenti e danzanti. Distratte. Affogate nel caos della vita. Eleganti e cinematografiche nelle loro zazzere biondo platino o in quelle gonne che si fanno sempre più corte, le donne di Winogrand, raccontano di femminismo di controcultura e di libertà. Di una rivoluzione che partì dalla moda e dai costumi e di una femminilità, sempre in bilico tra peccato e rettitudine.

Una era una donna schiva, ritrósa, adusa al mugugno. Sconosciuta in vita e poco incline ad aprirsi verso la gente. L’altro era un uomo sorridente, irriverente e dalla battuta sagace, con il cuore aperto al mondo e, considerato già in vita, “uno dei più grandi fotografi americani” come ebbe a dire Barbaralee Diamonstein-Spielvogel durante un’intervista allo stesso Winogrand nel 1981.

Vivian Maier e Garry Winogrand . Due lati della stessa medaglia: la fotografia di strada. Anche se Winogrand dichiarava con un certo malcelato fastidio: «Odio questo termine ”street photography”. Penso che sia stupido. Non racconta assolutamente niente di come un fotografo proceda nel suo lavoro». Qual era allora questo modo di procedere? Che messaggio trasmetteva la sua fotografia? Winogrand Dopo il successo e i numeri da record della mostra su Vivian Maier, il MAN di Nuoro porta in Italia, per la prima volta: “Women (are beautiful)”. Una collezione ricca di immagini, tutte rigorosamente in bianco e nero dove Garry Winogrand mette al centro della scena, ça va sans dire, le donne. Del libro - ricercatissimo e golosità per collezionisti - da cui la mostra prende il titolo, Winogrand disse: “Quando arrivò il momento di scegliere le foto, per questo progetto editoriale, mi trovai davvero in difficoltà. Soprattutto quando l’immagine era quella di una donna attraente mi chiedevo: è la fotografia a essere interessante o è la donna ritratta?”

Lola Garrido, curatrice e proprietaria di questa collezione (l’acquistò nel 1994 presso una casa d’aste a San Francisco), dopo l’introduzione alla mostra, se ne va in giro per le sale del MAN con la sua Leica in pugno. Mi conquista subito il suo sguardo obliquo sulle cose. L’orizzonte della macchina fotografica non è quasi mai parallelo al terreno. Proprio come le fotografie di Winogrand.

«Questo museo ha superato le mie aspettative. Mi è piaciuto molto il lavoro che è stato fatto per questa mostra, l’allestimento e la serietà con cui si sono affrontate le cose. Quando comprai questa collezione l’affare era molto più di quanto le mie finanze mi potessero permettere. Ma questo corpus di immagini mi ha dato molta allegria e davvero molte soddisfazioni».

Winogrand, con il suo faccione sornione e giullaresco, si tuffava tra la gente. Era impossibile non accorgersi di lui. E sorrideva sempre. Il grandangolo (la sua lente preferita era un 28mm) lo obbligava ad avvicinarsi al soggetto della sua rappresentazione. Trasgredire alle regole auree della fotografia: così l’orizzonte si inclinava per favorire l’ingresso nell’inquadratura di un maggior numero di elementi possibili. Per dare dinamica e movimento. Tutto è racconto. Elementi di disturbo che danno forza e struttura alla narrazione. Ecco perché nelle sue immagini l’occhio ha bisogno di tempo.

«Questo tipo di fotografia, questa mostra composta da 85 fotografie scattate tra il 1960 e il 1975, va osservata molto lentamente». Sottolinea Lola Garrido. «Bisogna cercare tutti i diversi punti di fuga»

Altro che misoginia e maschilismo di cui spesso Winogrand è stato tacciato: con tre matrimoni sulle spalle e quello sguardo curioso e divertito, Garry amava le donne. "Con queste immagini cerco di dare una risposta alle loro energie”, scriveva Winogrand, “il modo in cui si distinguono e si muovono i loro corpi e volti. Alla fine, le fotografie, sono descrizioni di pose o atteggiamenti che danno un'idea, un suggerimento delle loro energie".

‘60 e ‘70: un ventennio ricco di avvenimenti e trasformazioni epocali, soprattutto nell’America di Winogrand. E poco importa che fosse New York o Los Angeles, per il fotografo nato nel Bronx, la fame di umanità, la voglia di raccontare in quel modo le vite fugaci e distratte della gente divenne la sua sua più grande ossessione. Ma anche la sua più importante cifra stilistica.

«La mostra che troverete qui al MAN racconta di come le donne, nelle strade degli anni ‘60, si liberarono dalla costrizione di un certo tipo di abbigliamento», conclude la Garrido. «In definitiva, vorrei che questa mostra trasmettesse il grande lavoro di un grande fotografo la cui opera è stata esposta quattro volte, mentre era ancora in vita, e ora va in giro per il mondo mostrando a tutti come le donne conquistarono la libertà».

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