CHI ERA VIVIAN MAIER?

garry winogrand

LE GRANDI MOSTRE DEL MAN

Dagli autoritratti alle ossessioni di un collezionismo maniacale. Dai filmati in super 8 alla stanza segreta. Al MAN di Nuoro per cercare di capire uno degli enigmi e dei fotografi più affascinanti e misteriosi del ventesimo secolo.

Anonima tra gli anonimi, sconosciuta tra gli sconosciuti. Vivian era una di quelle persone che occupano poco spazio.
E con la morte che ci agita la sua clessidra, Vivian Dorothy Maier, sentiva l’urgenza di raccontare una vita, un istante, qualcosa da consegnare dopo, nel tempo. Ma i suoi non erano manifesti lungo le strade, stampe pregiate nelle roccaforti museali, piuttosto, i suoi, erano “messages in a bottle”, messaggi dentro a una bottiglia. Tante piccole ampolle che contenevano centinaia di rullini. Tanti piccoli pezzettini di un mosaico in continuo divenire. Parafrasando Calvino potremmo dire: “Si fotografa per nascondere qualcosa che deve essere trovato”.

Siamo intorno alla metà degli anni zero quando, John Maloof - allora agente immobiliare – acquista la sua prima casa. Sta cercando foto d’epoca per raccontare il quartiere di Chicago dove vive. Il suo editore gli chiede oltre 200 immagini di ottima qualità da inserire nelle pagine di quel libro. È il 2007 quando John si imbatte in una scatola di negativi comprata in una casa d’aste per 380 dollari. Si accorge fin da subito di trovarsi davanti a un’autentica messe di negativi. Immagini straordinarie. Solo poche sono state trasferite su carta, altre, a migliaia, attendono da anni di uscire allo scoperto.
Così John, spinto da una fortissima curiosità, inizia a studiare fotografia, arrivando persino a costruirsi una camera oscura per lo sviluppo dei rullini. Vivian Maier, come egli stesso ammetterà più tardi, era diventata una sua ragione di vita. Una vera e propria ossessione. La sua mission diventa quella di ricostruire tutta la vita di questa misteriosa fotografa, a partire dalla sua sconosciutissima, e per certi versi oscura, infanzia. In una lettera ritrovata in una cassa Maloof, scopre un indirizzo. Chiama, in quella casa, a quell’indirizzo, dicendo di avere fra le mani il lavoro di questa fotografa e dall’altra parte del telefono rispondono: «Vivian è stata la nostra bambinaia».
«Come?», chiede Maloof sbalordito, «La nostra bambinaia?». Maloof era convintissimo di trovarsi davanti al lavoro di una fotografa professionista e mai avrebbe immaginato che Vivian Maier potesse essere una “nanny”, una “Mary-Poppin’s” con la macchina fotografica. Così dalla famiglia di Chicago, per la quale Maier prestò servizio per ben 17 anni, Maloof ritrova una montagna di documenti e oggetti personali che stavano per essere buttati nella spazzatura. Farà poi un viaggio nelle Alpi Francesi per visitare il paese d’origine della famiglia della madre (Maria Jaussaud Justin) di Vivian: Saint Bonnet en Champsaur. Maloof scopre ancora di più.

Come Don Elemiro, nel Barbablù di Amelie Nothomb, anche Vivian aveva una sua stanza segreta. In quella stanza – come racconterà poi Linda Matthews, la donna presso la quale prestava servizio – aveva fatto mettere una serratura robusta e aveva proibito a chiunque di entrarvi. Una stanza stracolma di giornali e valigie piene di ogni cosa. Dalla ricerca alla scoperta, sino a quel necrologio trovato per caso digitando il suo nome su Google. Tutto questo è sintetizzato nel bellissimo docufilm: Finding Vivian Maier (Alla ricerca di Vivian Maier). Il documentario fornisce poche risposte, ma ci spinge a farci tante domande, la prima delle quali è: chi era davvero Vivian Maier? Perché una fotografa con un talento così smisurato ha deciso di nascondersi dietro l’apparenza informe di una bambinaia qualunque? Analizzando le sue foto si fa presto ad accostarla a quel modo di raccontare gli americani di Robert Frank, a Lisette Model, a Helen Levitt o la stessa ricerca nei ritratti, malinconici e divertenti, di Diane Arbus.
Quello che vedrete in questa mostra del MAN a Nuoro – per la prima volta in Italia curata da Anne Morin – non è solo uno straordinario corpus di immagini, filmati in super 8, comprese le sue adorate macchine fotografiche, ma un autentico vibrante viaggio nel tempo, nell'enigma, tra volti distratti e meditabondi autoritratti, dove ogni superficie diventa cornice e contenitore del suo volto. Dal bagno della casa dove presta servizio, allo specchietto cromato di un auto in sosta, sino alla sua ombra proiettata su un muro. Agli specchi che sono anche quelli del salone dove la parrucchiera le fa la piega.

Avida di vite vere si spingeva, coi bambini a cui badava, nel cuore dei peggiori quartieri della città, per trovare il materiale umano che cercava. Quelle stesse persone che spesso la guardavano dritta in faccia con la sua Rolleiflex 6x6 attaccata alla pancia.

Chi c’era dietro a quello sguardo malinconico di una donna che veniva descritta come solitaria, chiusa, bizzarra e con un brutto carattere?
In una registrazione su nastro ritrovata tra le mille memorabilia, Vivian parla: «Credo che nulla sia destinato a durare per sempre. Dobbiamo fare spazio ad altre persone. È come una ruota. Una volta che ci sali su devi andare avanti sino in fondo. Dopo arriverà qualcun altro che prenderà il tuo posto, e così via…»
Vivian muore il 21 aprile del 2009. Scompare in silenzio. Chi era Vivian Maier? L’enigma è ancora lontano dall’essere risolto, e Vivian questo lo sapeva. Lo ha sempre saputo.

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