FILOMENA

claudio piras moreno

I RACCONTI DI CLAUDIO PIRAS MORENO

Mi chiamo Filomena, come sia giunta qui non lo capisco bene neanch’io, ma sono contenta ci sia qualcuno che mi ascolti.

Tu mi sembri un ragazzo buono e giudizioso, quindi parlerò a cuore aperto.

Nacqui ad Antro sessantatré anni fa, da una coppia benestante. Mio padre era pastore di duecento capre, dal latte delle quali faceva un formaggio dalla polpa bianca e lucida, ma dalla scorza marrone e oleosa. Era il formaggio più buono della zona, superiore persino a quello di pecora, perché lui le capre le pascolava in alta montagna, dove l’aria era sana e l’erba migliore. Loro bevevano solo acqua di ruscello, che era pioggia appena scesa dal cielo, filtrata dalle rocce, fresca e limpida. Cantava quell’acqua, e continuava a farlo anche dentro la pancia. Quando fuoriusciva dalle mammelle delle capre sotto forma di latte, quel canto era ancora più limpido e risuonava caldo e fragrante. Profumava di mille erbe che avresti potuto distinguere una per una.

Da piccola sedevo su una seggiola di legno a guardare mia madre, mentre lei rimestava quel latte con un bastone di olivastro, dopo averci gettato il caglio. Immaginavo che su quella seggiola un tempo ci fosse stata lei, e le sorridevo. Di sotto i capelli che le coprivano la fronte sudata e il capo chinato in avanti, mia madre ricambiava il mio sorriso, eravamo complici di una magia che si ripeteva non so da quanti anni, ma chissà se nei nuraghi non si fossero viste scene simili!

Non voglio sentire storie, per me i nuraghi erano luoghi in cui le mamme facevano il formaggio in compagnia delle proprie figlie e dove altrettanto facevano i padri aiutati dai figli.

Nella nostra casa di pietra con finestrelle quadrate e una bassa porta di legno, facevamo anche il pane. Il forno era posto quasi rasoterra e ti dovevi piegare per lavorarci, o anche solo per guardare. Ma tanto io stavo sdraiata a pancia in giù e da quella posizione rimiravo il fuoco scoppiettante e il pane che si gonfiava. In ore simili l’amore per le cose semplici e tra madre e figlia non possono che essere grandi e avere una loro lievitazione, lenta e calorosa. Questo è stato per me crescere: odore di fiamma, di pane, di formaggio, di mia madre, ma anche di mio padre che tornava dalla campagna. Erano profumi diversi, opposti, ma che si completavano.

A casa avevamo tutto. Crescendo è continuato a non mancarmi niente. Poi mi innamorai, il mio sposo era di Antro. Grande lavoratore. Faceva il pastore anche lui. Non aveva tante pecore, e una volta sposati le vendette per delle capre. Lo fece per me, ché le preferivo. Una capra si arrampica, si muove da sola, è più indipendente, curiosa della vita, ti guarda e sembra parlarti. La pecora no, si muove in massa, non guarda niente, non è curiosa, sa solo belare!

Da me e Giuanniccu nacquero un bimbo e una bimba, che erano un po’ capre anche loro, giocavano sotto la cima Fuscas, vi si arrampicavano, strappavano le bacche sopra i rami alti degli alberi ed erano sempre allegri. Mia figlia, al mattino, si sedeva su quella stessa seggiola, per vedermi fare il formaggio e io pensavo alla figlia che ero stata e a mia madre, che ora era diventata mia figlia che mi guardava, e senza accorgermene anch’io le sorridevo.

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