LA MARCHIATURA

savina dolores massa

SAVINA DOLORES MASSA

Il gran giorno arrivò in inverno, con un annuncio di gola al trotto nel piovasco, nei fanghi, nei fortini, nella chiesa della Maddalena, in baracche ordito di canne, nell’abbandono di un edificio ancora con l’eco dell’urlo preveggente del bestiame in vendita. Le genti più povere della città andassero a prendere la chiave per una casa vera, popolare. Una casa: questo fu l’annuncio nel 1962.

Abituate al niente, le genti ebbero timore di non essere all’altezza per qualcosa che sembrava inganno. Troppo, per loro. Qualcuno si attardò a spegnere scintille ballerine di braciere, le donne richiamarono i figli intenti a rotolarsi in pozzanghere simili a stagni senza pesci. Ogni donna urlava nomi, ma spesso i nomi di questi figli erano tutti uguali tra loro: Antonio, Giovanna, Salvatore, Pina. Non c’era fantasia di scelta, si andava via via di nonno o nonna. La sola eredità: il nome e il cognome di una stirpe sghemba.

Ai richiami, i bambini arrivavano, figli di tutte e di nessuna. Spesso non si seppe di quale padre, e quando con la crescita le caratteristiche dei volti parlarono, si evitò di notarle. Certo si mormorò.

Bambini è difficile esserlo quando la fame li ha costretti a rubare un osso dalla bocca di un cane. Succhiare un sapore di illusione, e sfamarsi così, per sorte di randagio. Non si dimentica.

Le genti sparse nei confini della città cercarono carretti con l’asino o come asini caricarono sulle proprie spalle gli averi e qualche neonato. I bambini collaborarono, loro sì gioiosi di un cambiamento, in partenza da ogni punto cardinale. E dietro gatti, cani, galline e passerotti con la testa sotto l’ala.

I sogni dei bambini non dovrebbero mai essere schiaffeggiati, lo si ricordi, perché niente un bambino cresciuto perdonerà, a vita e oltre.

Quel giorno le genti ebbero tra le dita intirizzite la prima chiave della loro esistenza, e pare strano pensare ora che nel 1962 si fosse consentito a una città di porsi le mani tanto a lungo sopra gli occhi, intenta com’era a pensare al proprio benessere nascente. L’ex povero aveva negato troppo a lungo di vedere il disfarsi, nell’assenza di sé, di colui rimasto a ciondolarsi la miseria: specchio da dimenticare. L’ex povero fu per sempre il peggior nemico delle genti poco aiutate a stare in piedi.

Grazie a un contributo americano - si ricorda - furono costruite le case popolari di una strada che la città si rifiutò sempre perfino di nominare apertamente. Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? Non le genti. Che restino miserabili, affinché la differenza tra il povero e il ricco sia sempre esibita come le corna di un cervo su una parete di lusso. Un abbattuto per orgoglio in polvere da sparo tetto a una viltà di fallo.

Ventotto famiglie conobbero nel 1962 l’acqua corrente, l’elettricità, servizi igienici. Finestre e balconcini. Si vergognarono evitandosi i volti l’uno con l’altro per aver portato dietro più vasetti di gerani che brande e materassi. Quelle genti si smarrirono in stupore quando compresero l’ingegno di un rubinetto nel bidet, perfetto per dare acqua al prezzemolo subito interrato dentro.

Il paesaggio attorno alla strada era ancora vergine di case. Uno sterminato campo di cardi selvatici accolse i bambini per i giochi identici a quelli già saputi. Poi venne un prete missionario e accanto alle genti sorse una chiesa. Fu il prete ad aiutare una disorientata umanità, insegnando a grandi e piccini come poter sopravvivere in quel mondo. Intanto nasceva un quartiere, e poi una scuola elementare. Le genti dei palazzi chiamati palazzine per disprezzo, svolgevano mestieri non degnati da altri, per la maggior parte. Piccoli soldi, ma tanti rispetto al nulla vissuto fino ad allora. Le donne ebbero scarpe, usate, ma benedette. I bambini furono iscritti a scuola, con grembiule, fiocco, cartella e sussidiari. Molti preti sanno fare bene il proprio mestiere, anche insegnando, dietro la burla, che un bidet è più divertente utilizzarlo per il culo. Ma il prete a scuola non c’era. Le genti bambine si ritrovarono imprigionate ai banchi, gli ultimi in fondo all’aula, curiosi di capire le belle parole sciorinate dalla maestra che però era generosa nell’offrirle soltanto ai bimbi delle prime file. Regredire al vecchio posto: questo fu sempre il titolo del tema imposto loro.

Il rancore nasce qui.
Le genti bambine, professioniste nell’arte dell’ingegno, impararono da sole semplicemente curiosando e respirando con affanno. Sorpresero la scuola, dimostrando d’essere piccole intelligenti libellule da combattimento. Tutto ciò non piacque. Le genti bambine dovettero difendersi dall’invidia fatta a pietre, lanciate da tutti gli altri mocciosetti che gli incrociavano il cammino. Furono guerriglie insanguinate. Storiche, in città.

La strada dei palazzi americani fu isolata: nessun adulto o infante o adolescente volle camminare di fronte alla vergogna - pur ripulita - di quel peccato originale dell’essere nati da un certo ventre invece che da un altro più in fortuna. Lo sforzo fatto dalle genti fu il doppio del normale per inserirsi nella Società. E la colpa di non sentirsi innocenti per essere nati nella merda, nessuno in città fu capace di comprenderla.

Mai, neppure adesso, si sanno amare le solitudini di palpebre abbassate di fronte a chiunque sia; il sibilo delle pietre anche durante i sogni tra lenzuola; l’inutile fiocco scolastico disordinato di proposito prima del suono della campanella d’accoglienza, perché una maestra si avvicinasse a riordinarlo. Mai. Nessuna maestra, mai, per i viventi nel viale non perdonato a causa della presunzione di volersi uguali a tutti, benché nati nelle stalle.

E la paura di essere all’altezza di far nulla? Accade anche questo a certe genti.

Il profumo del basilico, preso a calci e poi pestato. Qualcuno scappò via saltando il mare. Lentamente, la giovinezza lasciò il viale. Gli anziani rimasti si chiusero nelle case perché fosse invisibile qualsiasi presenza disturbante. Così andò.

Il rifiuto della città costrinse spesso a tornare a essere sporchi, sboccati e diffidenti. Forse solo così, le genti, avevano il senso di rassicurare. Siate i ricchi, siate i felici se col piede sul nostro collo, magro.

Abbandonare le genti e ogni suo singolo fu sempre il proposito della città. Ha vinto.

Un giorno recente d’anni, le palazzine diventarono troppo vecchie. Si spezzò senza cautela una meravigliosa umanità di differenze, spargendola in altre case di fortuna, l’una distante dall’altra. I vecchi, soprattutto, patirono i distacchi. Ma non si faccia sentimentalismo! Ora sono sbocciate nuove case sull’infamia fatta al viale degli aranci. Credo che nessuno andrà a viverci serenamente, sopra un cimitero di memorie lì per condannare all’insonnia tutti i freschi residenti: con la potenza indicibile che sa sprigionare il marchio dell’umiliazione.

Photo cover by Donatello Tore

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