EDOARDO ALBINATI

edoardo albinati

L'ISOLA DELLE STORIE

Uomini che odiano le donne? O uomini che odiano gli uomini? Un romanzo di formazione dove Albinati, pagina dopo pagina, ci conduce nel labirinto dell'animo umano, nell'eco di una domanda: chi sono davvero questi uomini?

Sabato 2 luglio. Edoardo Albinati è insieme a Eraldo Affinati, Vittorio Sermonti, Giordano Meacci, ed Elena Stancanelli in finale per il Premio Strega. Nessuno sa ancora che, la settimana dopo, sarà lui il vincitore del prestigioso Oscar letterario. Ma lui è qui in Sardegna, a Gavoi, a L’Isola delle Storie, per parlarci proprio del suo voluminosissimo – ben 1294 pagine – romanzo: La scuola cattolica, edito da Rizzoli.

Piazza Sant’Antiocru. Alberto Garlini apre l’incontro: «È un romanzo che mi ha particolarmente colpito. In certi momenti mi sono sentito preso a schiaffi dalla prosa. È un libro estremamente morale. Perché non cerca la differenza tra me e il male. Ma cerca l’affinità fra me e il male. Quindi cerca di vedere come questa educazione, come questo fascismo strisciante sia un fascismo un po’ di tutti, nel genere maschile. La necessità di scrivere questo libro ti viene nel 2005 quando, a Campobasso, succede che uno dei protagonisti della storia, del delitto del Circeo, uccida di nuovo». isola delle storie Edoardo Albinati: «Sono un po’ intimidito da questa grande folla e dal modo brutale con cui tu hai voluto iniziare questa conversazione, cominciando subito dal suo punto più dolente».

«Tutta questa faccenda nasce da uno spunto autobiografico. Si tratta di un delitto che scosse l’Italia intera, da parte di quelli che erano dei miei compagni di scuola. Perché questi, prima due e poi tre, avrebbero potuto essere anche di più, e se non furono di più fu soltanto perché uno di loro doveva preparare un esame. E quindi non andò in quella villa del Circeo a seviziare quelle due ragazze. È vero che ne parlo, ma io mi soffermo nel romanzo nelle poche pagine, saranno una trentina in tutto, che riguardano questo delitto. Le cose più efferate sono talmente incredibili che solo nelle favole possono avvenire. E questa è una favola nera. Lo spunto, il motore, da cui ha preso vita l’idea di scrivere questo libro parte da uno dei protagonisti di quel delitto: Angelo Rizzo, che in semilibertà, nel 2005, ha strangolato una donna e sua figlia minorenne. Volevo scrivere di qualcosa che avvertivo ma che allo stesso tempo restituisse quella tipicità. La tipicità era quella di una “scuola maschile”. La mia, la nostra, era una scuola gestita dai Fratelli Maristi – nel libro li chiamo preti - ed era una scuola preclusa alle donne. Questo, nel libro, mi ha spinto a ragionare su cosa dovessero provare le madri, che noi vedevamo tutti i giorni venire a prenderci a scuola, a sapere che a quelle come loro era preclusa. Mi viene in mente la famosa battuta di Woody Allen: “Vorrei appartenere a un Club dove gente come me non fosse ammessa”. Sapere che in quella scuola non avrebbero potuto mandare le loro figlie. Questa era la discriminante che mi ha fatto partire per scrivere questa storia».

Riprende la parola Garlini: «In questo romanzo le presenze femminili sono poche. È una storia veramente al maschile , con uno sguardo solo al maschile, senza il correttivo femminile»

«Io, come qualcuno di voi sa, lavoro come insegnante nel carcere di Rebibbia, che è un carcere esclusivamente maschile. Circa 20 anni fa, quando ero agli inizi, mi battei molto perché potessero venire a scuola i transessuali che stanno in un reparto apposito all’interno del carcere maschile. La presenza anche di un solo elemento femminile o femmineo portava improvvisamente all’interno di quella classe pesantemente virile, ossessivamente, disgraziatamente omosociale, un elemento di frivolezza e di distinzione. Gli ambienti omosociali non mi piacciono, quello maschile in particolare, ma anche quando vedo quelle tavolate di sole donne in ristorante, che fanno le amiche e sghignazzano, le trovo fastidiose. Io sono per la mescolanza dei sessi, delle età, delle razze. Trovo profondamente noioso quando ci si divide in gruppi: donne che parlano solo di allattamento e uomini che parlano solo del derby». Il pubblico applaude.

Garlini: «Secondo me è stata una scelta quella di isolare questo sguardo maschile e questo ambiente totalmente maschile. Mi ha molto colpito che poi alla fine del libro tu scriva: “La scuola cattolica non sarebbe mai stato concepito, scritto, riscritto e soprattutto terminato se non avessi avuto accanto Francesca D’Aloja”. In qualche modo tu puoi scrivere questo libro perché hai comunque uno sguardo femminile che riesce a guidarti dentro e a farti vedere quello che il maschile non riesce a vedere senza l’aiuto femminile».

«C’è una questione che denuncio apertamente. Non credo tanto che sia il fatto di compartire qualcosa col femminile, quanto di compartire qualcosa col sessuale. Penso che la grande differenza tra le persone non sia il fatto che siano maschi o femmine, quanto la sensibilità al lato sessuale. Se ce l’hanno, ce l’hanno anche all’altro sesso. Sennò, non ce l’hanno affatto. Allora, a una persona a cui piacciono poco le donne gli piacciono poco anche gli uomini».

Parlando di quella drammatica metà degli anni settanta Albinati aggiunge: «Io penso che proprio in quell’anno assiale, il 1975, ci sia stato il massimo punto di frizione tra tutto il passato e tutto il futuro, in un paese come questo che non era gradualmente avanzato verso le libertà individuali. Questo ha creato potentissime spinte e controspinte. Interpreterei alcuni episodi come un’avanguardia armata di un mondo maschile in declino andato in pezzi. Faccio un esempio. Proprio in quegli anni tutti gli attori holliwoodiani, i grandi belli, furono sostituiti dai piccoletti nevrotici: Dustin Hoffman, Robert Deniro, Al Pacino. Era segno che qualcosa stava mutando. Io ritengo più interessanti i contro movimenti rispetto al mainstream. Sono davvero convinto che il più grande movimento politico del ‘900 sia il femminismo».

E ritornando a quelle violenze sottolinea: «Io sono convinto che ci sia qualcosa di pedagogico nello stupro. Il sesso non è l’obiettivo. Lo stupro è l’atto essenziale. Mi approprio di qualcosa senza passare attraverso certe procedure. Il corpo femminile diventa il teatro dove viene messa in scena una procedura cha ha come scopo il possesso e l’annientamento. Questo è il paradosso. Il femminicidio è una forma estrema di possesso attraverso la distruzione».

In chiusura Albinati saluta il pubblico di Gavoi con un messaggio molto incisivo.

«Penso che, se si scendesse a patti con la propria manchevolezza, non ci sarebbe più bisogno di integrarla o surrogarla con la violenza».

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