ANTIPASTO CON L'AUTORE

isola delle storie

L'ISOLA DELLE STORIE

Mettiamola in questo modo: il preludio è una specie di antipasto. Un entrée di quella golosissima tavola imbandita che è L’Isola delle Storie. La formula, negli ultimi anni, è come quella delle vecchie ricette delle nostre nonne: pochi ingredienti, sani, e di altissima qualità.

Due giorni. Nel primo si inaugurano delle mostre nella Casa (museo) Lai, per poi, la sera, concludere con un incontro, una chiacchierata, con un autore che negli anni precedenti è stato già ospite del festival in queste suggestive stradine e piazze di pietra nel cuore storico di Gavoi. Il giorno successivo è dedicato ai reading e agli omaggi di un autore ormai scomparso. In questa edizione numero 13 è la volta di Antonio Gramsci con il reading-concerto dal titolo: L’Isola di Antonio. Gramsci, la Sardegna e la memoria.

Così, nella bella casa-museo di via Margherita, quest’anno abbiamo trovato tre nuove mostre. Al piano terra un raffinatissimo Angelo Monne con: La faccia dietro il libro. Illustrazioni per l’editoria. L’illustratore e grafico di Dorgali espone il meglio della sua corposa produzione artistica degli ultimi anni. Marcello Fois parlando di lui così ha detto: «È una delle eccellenze assolute che noi stiamo, in questo momento, trasmettendo sia sul piano nazionale che quello internazionale. Illustratore? Fate voi. Per me Angelo Monne è un artista. Straordinario».

Al piano superiore è il MAN di Nuoro, con una delle sue mostre extramuros, a proporre il progetto Atleta Fottage di Diego Perrone e Andrea Sala. I due scultori qui si confrontano con una disciplina artistica, per certi versi sostanzialmente distante dal loro perimetro di competenza: la fotografia.

All’ultimo piano è di Manuelle Mureddu la mostra che mette in scena la costruzione della sua graphic novel La Danza dei corvi. Sono le tavole preparatorie originali con le quali, l’artista nuorese, ha raccontato in maniera accattivante e riuscitissima il prequel de Il giorno del Giudizio di Salvatore Satta. È qui che, circondato dal pubblico, Marcello Fois annuncia ufficialmente che questa edizione numero 13 de L’Isola delle Storie è interamente dedicata al grande Pinuccio Sciola, l’artista di San Sperate recentemente scomparso. isola delle storie Da Casa Lai alla piazza più alta del festival di Gavoi: Sant’Antiocru. Marcello Fois introduce: «Giancarlo De Cataldo. È, secondo me, uno degli scrittori attuali che più di tutti ha saputo portare alla luce una specie di materia grezza che, dentro a questo Paese, non si aveva abbastanza coraggio di trattare…».

Da Romanzo Criminale a Nelle mani giuste, Suburra, La notte di Roma. Lo scrittore-giudice tarantino, che da anni vive a Roma, così ha raccontato e si è raccontato, al suo ritorno in questo preludio de L’Isola delle Storie.

«Torno con estremo piacere in Sardegna e in modo particolare qui a Gavoi. Qui ci sono tantissimi lettori. Per gli scrittori i lettori sono assolutamente fondamentali. Io non appartengo a quella categoria che dice: “Io scrivo per me… L’editoria non mi interessa…”. Questi sono bugiardi. Non funziona così». isola delle storie «Non avevo la più pallida idea di quello che sarebbe accaduto dopo Romanzo Criminale. Con gli editori, poi, non furono tutte rose e fiori. Inizialmente mi fu detto che era difficile, se non impossibile, raccontare una storia così vicina a quella degli anni ’70. Che la gente non avrebbe voluto sentirne parlare degli anni ’70 e che di politica non bisogna parlarne nei libri. Che era un romanzo troppo duro, che era troppo vero. Poi ancora, alla fine, qualcuno nelle alte sfere editoriali disse: “Va bene, te lo pubblichiamo, ma lo sappiamo che non venderà una copia”. Questa era la stessa cosa che dissero anche a Saviano».

«Il tribunale, come l’ospedale o come la caserma, è uno di quei luoghi nei quali la natura umana viene messa a nudo. L’uomo è sotto stress. Emergono i sentimenti come la paura, in qualche caso il terrore, l’ambiguità, il doppiogiochismo. Ogni processo è una tenzone per salvarsi la pelle. Ecco, in quelle condizioni di stress l’uomo esprime una parte paradossale della sua verità di essere umano. E se uno scrittore è in grado di catturarla, beh allora, è uno scrittore interessante».

«Quando vedo qualcuno in televisione che ricomincia con la lettura della Divina Commedia, sia Sermonti che Benigni - bravissimi, eccezionali, straordinari – cambio canale. Perché, veramente, si sta producendo lo stesso effetto che si produceva al liceo quando, a furia di massicce dosi di Dante o Manzoni, si andava in overdose… E finivi a leggere Tex Willer. Non ne puoi più alla fine! Ti fanno perdere il gusto di questa bellezza».

«Vogliamo parlare del rapporto tra buona scrittura e buona televisione?», chiede Fois. Giancarlo De Cataldo, Marcello Fois «Qui ci sono due discorsi da fare. Il primo è che ci sono delle grandi serie che ci piacciono molto. Il Trono di Spade, True Detective, Romanzo Criminale ovviamente, The Wire, Gomorra di Saviano. La caratteristica comune di tutte queste grandi serie è duplice. Da un lato che ha un altissima qualità letteraria della scrittura che deriva dal diretto inserimento di scrittori nel progetto. The Wire è una serie di George Pelecanos che è uno scrittore americano di origini greche molto ruvido. Alcuni episodi li ha scritti Dennis Lehane, che è quello di Mistic River, altro film di origine letteraria. Il secondo aspetto è che, in realtà, alla gente di televisione e di cinema, avere un romanzo piace. Perché il romanzo da una ricchezza, una messa a fuoco a tutto tondo dei personaggi nei quali ognuno può pescare per poi adattare – non a caso si chiama adattamento – all’altro linguaggio».

«Che rapporto hai con la realizzazione scenica di cose che hai scritto?», chiede ancora Fois.

«Uno scrittore può fare come faceva Moravia. Una volta ceduti di diritti delle sue opere al cinema andava a vedersi il film, anche a pagamento. Lui si manteneva libero il diritto di critica. Oppure può fare come certi che lamentano il massacro della propria opera, però dopo aver guadagnato delle cifre non indifferenti. Oppure può cercare di sporcarsi le mani come ho sempre cercato di fare io. Quando ti sporchi le mani, a volte, vinci. A volte perdi. Perché il lavoro televisivo, il lavoro cinematografico è un lavoro di squadra. Il confronto con le strutture produttive però è un confronto ad armi impari. Mentre nel mondo anglosassone, nel mondo americano, la scrittura è essenziale e i registi sono praticamente intercambiabili, in Italia accade esattamente l’opposto. Chi scrive e pensa è l’ancella del regista. Perché noi siamo in uno star system che è direttoriale».

«La televisione oggi, anche grazie alle tecnologie, ha un linguaggio che è visivamente molto simile, a volte più avanzato, di quello cinematografico. Narrativamente offre maggiori possibilità espressive rispetto a un film. Questo significa che è diventato più difficile fare film. Non è un caso se Hollywood si richiama agli eroi dei fumetti – prequel e sequel – grandi saghe, uomini ragno e signori degli anelli, in tutte le salse possibili e immaginabili. Perché è diventato più difficile inventare, creare e innovare nello spazio del cinema. A parte poi una considerazione di economia politica: le tecnologie influenzano la nostra esistenza. Le tecnologie spingono alla diffusione capillare del prodotto in ambito familiare o la fruizione individuale. Quella forma di rito collettivo che era la sala cinematografica è in crisi anche per questo motivo. Da questo punto di vista il teatro ha avuto delle mazzate tremende in questi anni, e stenta veramente a resistere. L’opera lirica invece, nel tempo, ha selezionato un pubblico di fedeli fortissimi, è ancora uno spettacolo che si consuma, si fruisce, unicamente come rito collettivo».

Dall'arte del cinema a quella della scrittura, dal mestiere di scrittore a quello di giudice, De Cataldo sottolinea qualcosa che tocca particolarmente le sue corde.

«È vero che l’Italia è un Paese dove c’è una forte corruzione, inchieste, ma è anche vero che noi chiediamo alle amministrazioni pubbliche di essere agili, dinamiche, di operare sul mercato alla pari dei soggetti privati, di produrre reddito, però poi li vincoliamo a una serie di normative che impediscono loro di muoversi in questo modo. Alcune distorsioni burocratiche, nonostante tutti i tentativi di semplificazione, rendono obbiettivamente difficile e, in qualche caso, impossibile il mestiere di amministratore pubblico».

«La nostra è una Sanità massacrata dai tagli, ma anche di processi. Perché in Italia non è che tutto quello che figura come “malasanità” poi sia in realtà mala Sanità. Siamo pieni di processi strumentali. È pieno di gente che denuncia il medico comunque. Noi siamo preda di alcune ossessioni: chi paga? Una delle ossessioni è: chi paga? In un minimo di decenza, in uno Stato sociale, la Sanità, la Giustizia, la Polizia, l’Istruzione, non dovrebbero essere eletti come fonte di reddito. Ma come fonte di servizio alla collettività. Non lo si può fare sulle spalle di quelli che ci lavorano».

All’ultima domanda di Fois sul quale sia la sua prossima fatica letteraria, De Cataldo risponde:

«Sul mio prossimo progetto editoriale vi devo deludere. Perché io sono meridionale e superstizioso. Sto lavorando a un progetto, si. Ma finché non c’è la parola fine, almeno nella prima parte del progetto, e un contratto firmato, io sono come quel personaggio, superstiziosissimo, di Totò che era sul treno che, con le porte che si chiudevano, sente un amico che passa e gli chiede: “Marchese, parte?” e lui “Quando mai!”».

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