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Concept Album
Paolo Marchi
CONCEPT PHOTO-ALBUM
5 Fotografi per 5 Album
Da De Andrè a David Bowie. A Nuoro una mostra che mette insieme immagini, testi e pentagramma.

«Tutto è nato qualche anno fa con la prima mostra negli spazi del Teatro Eliseo, Immagina tra le righe: Dieci fotografi per dieci romanzi, dove abbiamo voluto far incontrare letteratura e fotografia. Quella inaugurata oggi è il naturale proseguimento di quel progetto. I fotografi, qui presenti, sono stati chiamati ad interpretare cinque diversi artisti musicali in cinque loro opere racchiuse in cinque distinti concept album. Non abbiamo voluto interferire in nessun modo in questo percorso di creazione. Gli autori avevano solo due diktat: il formato di stampa, che doveva essere rigorosamente 30 per 45 e i tempi di consegna: entro un mese dalla data in cui abbiamo consegnato loro il tema da sviluppare».
Così, Gigi Murru, responsabile dell’Associazione Culturale Madriche, ci racconta la genesi della mostra, che dal 18 al 27 aprile 2014 rimarrà aperta al pubblico negli spazi del Centro Polifunzionale di Via Roma a Nuoro.
«La scelta musicale non è stata una cosa facile. Quando gli amici di Mieleamaro e Mousiké, con i quali abbiamo collaborato a stretto contatto, ci hanno proposto 20 capolavori di altrettanti gruppi e artisti nazionali e internazionali, arrivare a sceglierne solo cinque è stato davvero difficile. Ci siamo affidati all’istinto, guidato anche dai nostri personali gusti musicali».

Maria Giulia Berardi
Il vernissage è anche l’occasione per un rapporto one-to-one tra pubblico e artista. Capire l’opera anche attraverso il filtro emotivo e la voce del suo creatore. Rigore formale e piacere estetico, ma anche immagini disturbanti capaci di spostare l’asse di osservazione e di attenzione dello spettatore verso gli abissi più profondi dell’anima.
«Non conoscevo Ziggy Stardust di David Bowie» ci racconta Maria Giulia Berardi, la fotografa sarda, che da anni vive a Firenze. «Anche perché quando lui dava alla luce questo suo importante lavoro io stavo nascendo. Il tema conduttore dell’album è la nascita, la vita e infine “the fall”, la caduta la morte, di questo personaggio androgino e alieno che in definitiva è proprio lui, David Bowie».
Un attimo di sospensione in cui il suo sguardo e il nostro ripassa in sequenza ognuna delle sei foto: «La cosa che accomuna le sei immagini, con le quali ho lavorato per la prima volta in sovrapposizione, è lo sguardo obliquo di Bowie: quegli occhi alieni, extraterrestri, sono presenti dappertutto. Un viaggio onirico, surreale e quasi metafisico, in un periodo sperimentale e lisergico dell’artista britannico, che in questa mia personale visione ho rivisto come nei tratti di un mondo evanescente, liquido».
«Sono immagini disturbanti, capaci di spostare l’asse di osservazione e di attenzione dello spettatore verso gli abissi più profondi dell’anima»
Nell’ultima delle sei rappresentazioni, Maria Giulia, ci mostra un occhio ancora aperto che sporge dal sottosuolo lunare: «Alla fine ho sentito come una morsa dentro allo stomaco, quasi mi fosse dispiaciuto doverlo far morire in quel modo».

Donatello Tore
Paolo Angus Carta
Sono immagini in bianco e nero quelle che Donatello Tore gestisce in maniera impeccabile in un gioco di livelli e di rimandi che incantano: «Che grande responsabilità mi hanno consegnato nel tradurre Frabrizio De Andrè in Non al denaro non all’amore né al cielo. Ogni immagine è il frutto della stratificazione di tre scatti distinti. Perché il 3 è il tema ricorrente di questo album». E mostrandoci l’immagine quasi concettuale del cimitero di Lollove, Donatello sottolinea: «De Andrè si è ispirato all’antologia di Spoon River. Lo scrittore raccontava la vita di persone che, pur giacendo in cimitero in qualche parte dell’America, sono state riportate in vita dalla Poesia». Le immagini fanno parte di uno studio che l’artista sta portando avanti già da alcuni anni: «Geografia Immaginaria, che trascende da quella reale». Rappresentazioni che giocano con l’ossimoro: sono luoghi che non esistono, ma esistono allo stesso tempo.

Colore sullo sfondo dell’impasto di tutti i colori: il nero. Così, Paolo Angus Carta, musicista e fotografo, racconta la giornata tipo di un adolescente. Dall’alba al tramonto. Sono atmosfere cupe, riflessive ma anche caotiche quelle che accompagnano il racconto suggestivo di Mellon Collie and the infinite sadness, concept album degli Smashing Pumpkins.
«Ho lavorato per sottrazione. Mi sono fatto guidare dai sei movimenti che caratterizzano questo capolavoro. Dall’alba, passando per il “tea-time” della rosa rossa, sino al momento del tramonto».
L’immagine centrale, che rompe con pennellate di colore è quella che rappresenta anche la centralità della giornata, quella più carica e nevrotica: «Il caos mentale che è anche il caos delle chitarre che fa da filo conduttore, insieme alla malinconia, in quest’opera della band di Chicago».
Una malinconia come lato romantico della tristezza: «Uno stato attitudinale».

«Non conoscevo Angelo Branduardi. E non posso dire se mi piaccia o no. Sono ancora in fase esplorativa». Esordisce così Margherita Denti che, con L’infinitamente piccolo ha cercato di tradurre le liriche e le lune dell’artista-menestrello dalla scapigliata acconciatura. «In questo album, che gli fu commissionato dalla Famiglia Francescana, Branduardi, ripercorre in musica la vita del Santo di Assisi»
Margherita Denti
Le immagini, che ritroviamo in sequenza senza soluzione di continuità, sono caratterizzate da una linea di demarcazione che le spacca in due lungo l’asse orizzontale:
Paolo Marchi
«Dopo essermi relazionata con una confraternita ho voluto rappresentare la rottura che c’è tra quelli che sono gli insegnamenti di San Francesco e un certo modo di procedere e vivere della nostra società contemporanea». Emblematica è l’immagine che rappresenta in basso un antica strada in pietra e più sopra, oltre a linea di lacerazione, una quattro corsie di asfalto ripresa da dietro a una gabbia di protezione metallica. «Le strade diventano carceri, luoghi che ci costringono»

E sul tema del rapporto uomo-natura Paolo Marchi indaga per condurci sui territori dell’evoluzione umana. Lo fa con Darwin l’opera musicale del 1972, del Banco del Mutuo Soccorso. «Un concept album che sin dal primo ascolto mi ha conquistato» sottolinea il fotografo: «Se escludiamo La conquista della posizione eretta che è l’unico brano strumentale contenuto in Darwin, ho deciso di lavorare sui testi delle restanti sei tracce».
Le “sei scene narrative”, come lui stesso le definisce, sono caustiche e giocano sul crudo contrasto di figure umane - male in arnese, trasfigurate in abiti posticci e maschere che coprono il volto e il corpo quasi a volerlo proteggere - con la natura. Figure che si stagliano su paesaggi terrestri contaminati dall’uomo che li ha ”mondezzificati”: «Non sempre le contaminazioni umane hanno prodotto risultati edificanti. Anzi. L’evoluzione c’è stata, ma è sotto agli occhi di tutti che in molti casi è stata disordinata. Quasi un fallimento dell’evoluzione»

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