QUELLI COME NOI
ARTE
Uno di fronte all’altro, quasi in contrapposizione, ma solo apparentemente. Al MancaSpazio, Bruno Petretto e Danilo Sini, e quelli come loro.
ARTE
MANCASPAZIO - Installation view
Il senso di un’intesa e di uno scambio finanche confidenziale tra le poetiche di Petretto e Sini si rafforza nella coabitazione e nel dialogo reciproco tra i rispettivi lavori all’interno della galleria.
E poco conta, nella difesa di determinate idee volutamente slegate da ideologie fallimentari, l’essere o sentirsi minoranza: la canzone di Claudio Lolli a cui si rifà il nome del progetto (Quelli come noi, per l’appunto, contenuta nell’album Aspettando Godot del 1972) la dice lunga già dall’incipit sulla necessaria ammissione di certe consapevolezze, quasi un’autocoscienza del “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” di montaliana memoria: «io e un mio amico certe volte ci troviamo» esordisce il cantautore, prima di dare il via alla descrizione di «quelli come noi, che son venuti su un po’ strani».
Così, affini e “dirimpettai”, Sini e Petretto si fronteggiano sulle pareti opposte in un’atmosfera che non è azzardato definire complice.
Gli unti (1996) del primo, sulla sinistra, osservano il modo in cui, per l’altro,La natura si racconta (2018) nell’applicazione di pelli, licheni e fibre di fico d’india su sette piccole tavolette di legno; e sempre dai loro supporti di carta fatta a mano – rimando autografo a un’artigianalità dell’arte a partire dalle basi – questi undici eletti contemplano la maniera in cui il creato sa spiegare se stesso fuori e dentro le pagine di unLibro d’artista (2018), oggetto che proprio nelle apparenze dell’informe e dell’informale svela paesaggi, prospettive, altezze, abissi, profondità esplorabili e percorribili in senso concreto o metaforico.
Forti di un non meglio specificato sigillo dell’unzione, a loro modo privilegiati da una prossimità alla sfera della sacralità e dell’alterità che li rende immuni da criteri di giudizio facenti capo all’etica e alla morale comuni,L’angelo, Il santo, Il papa, Il cardinale, Il frate, La ninfomane, La pornodiva, Il tossico, L’uomo della superficie, L’uomo impaziente e L’uomo paziente assistono in prima fila – ma non è dato sapere con quanta buona o cattiva coscienza – a uno spettacolo che è di pura stupefazione, un incanto troppo spesso snobbato nel suo essere patrimonio comune e condiviso.
MANCASPAZIO - Puppet 17
La critica severa nei confronti di un’indifferenza che è sempre connivenza rispetto a ciò che si preferisce ignorare trova tuttavia una sua controparte più indiretta in Puppet 17 (2013), opera in cui Sini e Petretto si incontrano – rispettivamente in qualità di ritrattista e di personaggio ritratto – sotto le insegne dell’omaggio e dell’autoironia.
Nel bel dipinto, difatti, il volto da patriarca biblico dell’artista più anziano si staglia in bianco e nero e di tre quarti contro un allusivo e simbolico fondale color magenta, lo sguardo assorto e fisso verso il fuori campo, nella perenne consapevolezza della coroncina di spine che gli adorna con dolore il capo canuto.
Epperò guai a limitarsi a questa prima impressione: i toni solenni dell’olio su tela, con i suoi espliciti rimandi alla cristologia e alla martirologia – ma anche, perché no, a un possibile sciamanesimo sincretico rivolto alle divinità naturali – si alleviano non appena se ne traduce il titolo in lingua italiana, per arrendersi all’evidenza di come puppet, in realtà, non significhi altro che fantoccio, pupazzo, burattino, marionetta.
Quanta efficacia, dunque, per il sacrificio di sé nell’arte, se la sagoma di un ex voto e quella di uno smile (più ghignante che bonario, in verità) si sovrappongono senza gerarchie, e se la stessa autodeterminazione si rivela una pia (ma anche laica) illusione?