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AMSTERDAM
Disegno, colore e quel terzo elemento... la Luce
Riscoprire il piacere dello smarrimento. Tra ricerca estetica e nomadismo spirituale

Una visione. Una ricerca iniziata da bambino. Emozioni che solo quella luce sapeva regalarti. Una fiabesca epifania. Cosa c’era dietro a quelle ombre morbide, a quegli onirici chiaroscuri. A quell’incarnato perfetto che virava dal rosa pallido ad una pelle bianca come la biacca. E ancora: perché li e non altrove. Attraverso la Germania in macchina lasciandomi alle spalle una agosto italiano fatto di caldo e di un sole che si ruba anche le ombre. Mi guardo intorno mentre la mia prua mi porta sempre più su, verso l’Olanda. Paesaggio che ostenta colori pastello. Percorsi fatti di acqua e di case coi tetti dalle pendenze esasperate e una presenza umana che in queste campagne sconfinate è davvero orpello marginale. Ordine rigore mi accompagnano sino alle porte della città sul fiume Amstel. Amsterdam. The City of light. La Venezia del nord Europa.
Magica è affascinante e dal tempo riottoso come il temperamento di un artista. Un cielo che sembra uscire da un dipinto di Jacob Van Ruisdael diffonde una luce uniforme, mai abbagliante, come un immenso bank pronto a lavorare per te. Canali d’acqua, case dall’inconfondibile architettura con il mattone a faccia vista, e i frontoni lavorati sapientemente che si innalzano verso il cielo. Nelle finestre la lirica cubista di Mondriaan.
Sono enormi, coi vetri irregolari, fatte per catturare luce e sguardi. In tanti, soprattutto nei piani terra, le lasciano con le tende bene aperte. Vogliono che tu guardi che il tuo sguardo passi attraverso. Come in un elegante salotto en plein air ti concedi a quel piano a coda che si intravede col suo elegante spartito: è la casa di un musicista. E già lo immagini con la mani che scivolano sulle note di una notturna di Chopin davanti all’incessante flusso d’acqua del canale antistante, anche nelle ore più tarde della serata. E mentre ne percorri le vie più strette che accompagnano il corso dei canali hai la sensazione di vivere all’interno di un grande villaggio.
Città bohémienne. Ogni angolo rappresenta una storia a se.
Storie mai gridate ma sussurrate sottovoce. Chiudi gli occhi e ascolti lo scorrere dell’acqua, il vocio della gente e i campanelli delle biciclette a richiamare l’attenzione dei pedoni che distrattamente invadono le piste ciclabili protagoniste ad ogni strada.
Parlando della sua Amsterdam David Becket scrive: "On the bike we are all the same"
È davvero incredibile come nel giro di poco tempo questa città riesca a fagocitarti a farti sentire di casa, a coccolarti e per chi ha fatto dell’arte il leit motiv della propria vita, un luogo ricco di spunti per l’immaginifico. Artisti e mestieranti, poeti e bon vivant, Amsterdam è la città che ti costringe a rallentare. A ritornare sui tuoi passi. A quel bisogno di vero dal quale la nostra vita schizofrenica ci ha distratti. Te ne riappropri visivamente anche quando, all’interno delle luminose sale del Van Gogh Museum, ripercorri quell’impressionismo fatto di paesaggi, Iris e girasoli e vita contadina che il grande Artista olandese ha saputo, come pochi, restituire nel suoi tratti violenti e turbinosi di oli e colori. Immagini che fuggono all’apologia della miseria e della morte. Immagini di vita reale.
Il viaggio prosegue tra ricerca estetica, nomadismo spirituale e approfondimenti culinari.
Ho scoperto un posticino dove fanno i Muffins più buoni della città e probabilmente i più buoni che abbia mai assaggiato: B&B Catering Service, sta all’angolo di piazza Max Euweplein. Coi tavolini all’aperto che danno sul canale Singel e un accogliente sala interna, ragazzi giovanissimi ti servono Muffins dai mille gusti. Ti riscopri goloso non solo di arte e cultura ma anche, più prosaicamente, di dolci e schifezzerie che pensavi di aver consegnato all’oblio della tua infanzia.
È arrivato il momento che ho tanto atteso. Una delle ragioni del mio viaggio: Rijksmuseum. Il sancta sanctorum dell’arte fiamminga. Rembrandt, il padrone di casa, ospita per la prima volta il francese De Gas.
Qui riscopri il piacere dello smarrimento. Perdersi nello spazio e nel tempo e assecondare senza freni il tuo temperamento passionale, libero, tempestoso.
Studio della luce e perfezione compositiva già a partire da uno still life di Willem Claesz Heda, tra ostriche e crudità. Nature morte?
Tu sei li davanti al quel desco e se non fosse per gli allarmi del museo allungheresti le mani sulla tela per entrarci dentro, toccare quelle coppe luccicanti, scomporre ulteriormente quella tavola imbandita. Ritratti che hai difficoltà ad accettare come pitture, tanta è la perfezione nel tratto e la ricerca maniacale nell’amalgama dei colori. La diade chiaro-scuro che non scopre mai del tutto, nella sua elegante presenza, evidenzia i particolari. Enfatizza il gesto. Come quella lama di luce che attraversa la mano del capitano Frans Banning Cocq, nella monumentale tela “La ronda di notte”. È il focus su qualcosa molto caro al pittore. Vuole indicare una strada a chi verrà dopo di lui. L’opera che attraversa il tempo nell’immortalità di quei codici che vogliono suggerire nuove chiavi di lettura. E tu sei li coi tuoi continui rimandi alla fotografia ad annotare ogni particolare. Passo dopo passo, sala dopo sala le emozioni subiscono una metamorfosi.
Pieter Saenredman il maestro della prospettiva, gli straordinari paesaggi di Jacob Van Ruisdael e la bellissima campagna olandese coi suoi mulini nei dipinti del suo pupillo Meindert Hobbema. Ma è davanti ai ritratti di Frans Hals, uno dei tre massimi rappresentanti del secolo d’oro, che la mia attenzione di ritrattista viene catturata. Non te ne vorresti più separare. Cerco di osservarli da lontano e poi sempre più vicino, sino a posarmi con lo sguardo a pochi centimetri dalla tela.
La luce nel ritratto fiammingo mi infiamma e mi contamina. Niente sarà più come prima.
Sono passate molte ore dal mio ingresso della mattina. L’orologio mi avverte che è già tardo pomeriggio. Ma prima di andare via, ritorno ancora una volta indietro e riguardo i ritratti nel loro insieme. Sono li che mi osservano. Tutti. Più vivi che mai. Immersi in quel mondo di mestizie quotidiane che è la vita, ognuno con una sua storia da raccontare. Forse mi chiedono di ritornare. Chissà.
Un immensa gioia, maieutica, mi fa brillare gli occhi.
E mentre mi allontano da quei luoghi, da quella città incantata sul fiume Amstel mi ritornano in mente le parole di Pasolini: difendiamo l’umanità con le armi della poesia.

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