LA (FINTA) SOLIDARIETÀ AI TEMPI DEI SOCIAL

Amsterdam - Ragazza con smartphone

SOCIAL NETWORK

Abbiamo disimparato la grammatica dei sentimenti. Non si ride quasi più di gusto ma solo per compiacere. Non si piange più di commozione e di gioia ma solo - qualche volta - per dolore.

Si dovrebbe smetterla di chiedere “Come stai?” in modo così meccanico e senza che di quella risposta ci freghi un accidente. E dovremmo smetterla di rispondere, come a un riflesso incondizionato: “bene”, anche se bene non stiamo. Non sarebbe bellissimo iniziare col dire la verità? “Sto male in questo periodo”; “Non sto benissimo: ho un sacco di problemi con ...”.

Dovremmo smettere di dire “ci vediamo la prossima volta”: ma la prossima volta quando? Quando? Quando?
Dovremmo iniziare a chiedere: “Ci vediamo domani?”. Oppure: “Nei prossimi giorni quando sei libero/a? Ho voglia di vederti davvero. Decidi tu quando”.

Dovremmo dare per meno scontate un sacco di cose. Non è affatto scontato che una persona ci apra le porte al pranzo nella sua casa. Qualche giorno fa un amico mi ha invitato per cena. Non eravamo in tanti. A un certo punto della serata lui ci dice: «Cari amici, non siete giunti qui - nella mia casa - per caso. Quì sono in pochi ad averci messo piede. Vi ho invitato perché vi considero speciali». Ecco, iniziamo a frequentare le persone che consideriamo davvero speciali. E iniziamo col dirglielo: "tu sei qui perché non sei un numero. Tu sei qui perché sei per me una persona speciale". Apriamo loro la porta del nostro cuore, della nostra casa.

Dovremmo uscire dalle nostre abitazioni, staccarci da quelle macchine e dai social network. Iniziare con l’avere solo amici veri e non 5000 entità astratte dei quali crediamo di sapere quasi tutto e dei quali, in realtà, non sappiamo niente.

Si va in giro come delle Baute veneziane: tutti con la stessa espressione, pallidi di espressività, uniformi e uguali a tutti gli altri.

Così, senza scadere nel fescennino, diciamocelo pure: ne abbiamo le scatole piene di questa finta solidarietà. Delle geremiadi infinite sulle vite di chi sta sempre seduto sulla sedia a dondolo: si muove, si muove e non va da nessuna parte.

Sono passate poche settimane da quando a un caro amico è andata a fuoco la sartoria. Quell’attività sulla quale si appoggia la sua intera esistenza, quel luogo carico di tessuti, di odori, di incontri e di storia è stata distrutta in un attimo. Alla notizia pubblicata sui quotidiani locali, la sua pagina facebook era piena di commenti e di Like. Se per ognuno di quei “mi piace”, di quegli oziosi click, per ognuna di quelle frasi di circostanza, quelle parole si fossero inchiostrate di azione, di una reale proposta di aiuto, quella sartoria sarebbe potuta rinascere nel giro di qualche giorno.

A riempire le bacheche di “auguri, buon compleanno” sono bravi tutti. A marcare la distanza tra chi fa e chi non fa, tra chi chiacchiera e chi agisce, è l'empatia, la volontà e l'amore. Quello vero. Dovremmo sentirci in colpa ogni volta che questo non accade. Vergognarci del nostro non agire. A noi la scelta.


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